In questa serata speciale, ci vogliamo
permettere di pensare a don Luigi con estrema nostalgia, non con dolore, ché lui
non vorrebbe, ma con la nostalgia di chi vorrebbe tornare al tempo da lui
abitato, con lui condiviso.
Se ci fosse concesso di tornare a quel tempo,
lui, e non noi, parlerebbe del progetto che ora vorremmo presentare e, in
genere, di qualunque altro argomento, e con ben più intensa profondità di quella che chiunque
di noi saprebbe usare. Ma, d’altro canto, non potendo tornare a quel tempo, non
possiamo neppure immaginare che siamo qui come se niente fosse, come se noi,
amici e nipoti di don Luigi, ci fossimo incontrati per caso, magari nelle
vicinanze della sua casa o fuori dalla chiesa del Paradiso, per scambiare
quattro chiacchiere con gioia fraterna.
No, non è proprio possibile fare come se tutto
fosse come prima, prima che lui se ne andasse.
Se stasera siamo tutti insieme, ospiti della
cordialità buona di don Angelo Casati, è perché don Luigi, per noi e per sempre
lo zio, non c’è più e abbiamo
attraversato tutti quanti le ferite della morte e dell’amore, come forse
direbbe lui, per ritrovarci qui e provare a credere che possiamo contare ancora
sulla sua presenza.
Ci sentiamo un po’ come Tommaso, l’incredulo,
che vorrebbe avere una prova tutta umana del ritorno del Cristo, come umana è
la sua esitazione ad abbandonarsi alla fede.
C’è un modo di dire che colpisce, quando si
sente che “qualcuno ha abbracciato una religione, una fede”. Come si fa ad
abbracciare la fede, sembra chiedersi Tommaso? Vorrei abbracciare un corpo, gli
dice l’istinto, toccare ancora una volta il mio Signore, e toccandolo avere la
prova che si può ancora, e solo allora, dire “mio Signore, mio Dio”.
Abbiamo anche noi pensato allo stato d’animo di
Tommaso, nei giorni scorsi quando ci preparavamo all’incontro di stasera.
Noi abbiamo bisogno di toccare l’assenza di don
Luigi per credere che davvero non ci sia più e, forse, fino a oggi non eravamo
pronti ad affrontare e a chiamare per nome la solitudine.
Avevamo e abbiamo un incessante desiderio di
abbracciare la sua voce, le sue parole, i suoi libri. Di entrare ancora una
volta nella sua casa, che era immediatamente la casa di chiunque entrasse,
generosa e gentile come lui.
Allora, in questi anni ci abbiamo provato, a
ricercare e a ritrovare la sua casa, uno spazio caldo e bello, dove ricevere
conforto e bene.
È nata così l’amicizia con padre Corrado Spada,
missionario dell'Operazione Mato Grosso in Perù,
nella parrocchia di Marcarà, diciottomila anime sparse in quaranta villaggi di
alta montagna.
Padre Corrado, missionario da quindici anni in
quelle terre, non solo porta un aiuto concreto e quotidiano agli abitanti di
Marcarà, ma anche grazie al contributo di don Luigi ha allestito un centro
diurno attrezzato per assistere anziani e disabili che, diversamente, non
avrebbero nessuna attenzione né da parte delle famiglie, né da parte delle
istituzioni. L’acquisto di un pullmino ha permesso di prelevare direttamente
dalle abitazioni chi ha bisogno di assistenza, di terapie o anche semplicemente
di pasti caldi.
E così, con semplicità, questa sera siamo
dunque a dirvi che ce l’abbiamo fatta!
La casa di don Luigi c’è ancora, dall’altra
parte dell’oceano, lontano dai nostri occhi, certo, ma c’è.
Altri, dopo di noi, godranno della sua
ospitalità, con un passaggio di testimone, che ci accomuna e affratella. Come
pensarci, infatti, se non come parte di una unica grande famiglia, proprio come
a lui piaceva?
A noi,
qui e ora, restano la grande emozione di vedere la casa di padre Pozzoli vivere
ancora grazie agli ultimi, agli umili, i più amati, e il desiderio di sostenere
il progetto di padre Corrado e aiutare tutti coloro che ne hanno bisogno.
Stefania.